lunedì 7 febbraio 2011

L'Orto Sinergico. La nascita e la motivazione (1°fase)

Come guardiamo oggi l'agricoltura?
Le tecniche utilizzate per la moderna coltivazione riescono a far fruttare al meglio il terreno, dal quale l'uomo ottiene il massimo, forse troppo... Osservando bene si può notare che c'è qualcosa che non va, ma cosa?
Riflettendo e applicando alcune nozioni base, si può arrivare all'immediata conclusione che l'attuale situazione non potrà durare per sempre, infatti la nostra Terra ha bisogno di una "rigenerazione" una vera e propria rinascita per ristabilire gli equilibri perduti.
Questo è possibile in diversi modi, l'Agricoltura Sinergica ci può aiutare!
Si tratta di mettere assieme pochi, ma importanti principi che si basano sul naturale sistema con cui flora e fauna vivono. E' nato così un nuovo esperimento, un orto-giardino che avrà come obiettivo quello di rispettare la Terra, con minime lavorazioni e con la valorizzazione di tutte le specie animali e vegetali.
La Terra è come un organismo vivente che mangia, cresce, interagisce e ciò che vive con Lei, fa altrettanto, in un continuo scambio di energia, elementi nutritivi e vita!
I primi passi sono semplici e con queste immagini il concetto è reso meglio:
Campo vuoto in fase iniziale

Creazione di un punto di partenza centrale (non obbligatorio)

Lombrico: ospite ben gradito!

Forma a spirale dei bancali di terra (ognuno può sceglire la forma che desidera)

Primo ospite dell'Orto Sinergico: Salvia officinale.
Le piante aromatiche sono utilissime, perchè con le loro sotanze volatili allontanano nemtaodi

domenica 6 febbraio 2011

Il Pane: tradizione e tipicità

Fin dalla preistoria,  il frumento è stato il più importante dei cereali per il valore nutrizionale, culturale e sociale. E' una specie che è in grado di adattarsi ad ogni tipo di terreno e a differenti climi. 
I cereali allo stato naturale e il sistema digerente umano sono però incompatibili, per questo fin dal Neolitico, l’uomo ha trovato un metodo per cuocerli e trasformarli in un prodotto diverso dalla materia prima.
Le principali specie oggi coltivate sono due il Triticum vulgare (grano tenero) e il Triticum durum (grano duro), entrambe con un ampio ventaglio di varietà ottenute con incroci e selezioni per il miglioramento genetico.  Il T. vulgare  viene macinato in modo tale da produrre farina impiegata per confezionare pane, torte, biscotti e simili. Il T. durum invece, ha un colore ambrato, la cariosside è allungata e vitrea, viene usato nella produzione di pane, ma il principale utilizzo è la fabbricazione di paste alimentari.

COS'E' IL PANE?
Il pane è il prodotto dato della cottura dell’impasto, composto da farina o semola di grano, acqua, energia, agente lievitante e sale.

Una grande attenzione viene messa nella qualità di questi ingredienti e fra questi l'agente lievitante ricopre una grande importanza: è il principale fattore che caratterizza il prodotto finale, rendendolo tradizioneale o meno; la produzione di CO2 (anidride carbonica) è il meccanismo che permette l’aumento di volume dell’impasto: la sua origine può essere:
- chimica         utilizzando bicarbonato di sodio o bicarbonato di ammonio
- fisica             dato dall’azione meccanica delle chiare d’uovo montate a spuma
- biologica      ottenuta con il solo lievito di birra o con la fermentazione tradizionale

FERMENTAZIONE CON IL LIEVITO DI BIRRA
Il prodotto ottenuto con la fermentazione condotta unicamente da Saccharomyces cerevisieae (lievito di birra) è diverso da quello ottenuto con la fermentazione naturale.
Il Saccharomyces cerevisieae è un lievito, un fungo unicellulare che produce alcool e CO2 più qualche altro composto secondario. Non è in grado di  scindere l’amido (maggior componente della cariosside), utilizza solo l’1-2% di glucosio presente nella farina, non elabora né le proteine, né i lipidi che rimangono intatti.
Le fermentazioni di questo tipo sono il prcedimento classico con il quale operano la maggior parte dei panifici in quanto è una fermentazione semplificata, con tempi brevi (di circa 1 ora), con una maggiore gestibilità e un migliore controllo dell'igiene. Durante questo processo il pH rimane costante.

FERMENTAZIONE TRADIZIONALE
La fermentazione tradizionale è quella eseguita con la pasta acida, detta anche “su frammentu”, “pasta asceda” o “sa Madri”. È l’impasto di acqua e farina lasciato all’aria per un tempo più o meno lungo, nel quale avviene un “inquinamento” di microrganismi che si moltiplicano e danno origine a fenomeni fermentativi tipici. 
Su Frammentu è composto da una microflora complessa, costituita da: S. cerevisieae, S. esigus, Candida holmii, batteri lattici come Lactobacillus plantarum, L. brevis e L. sanfranciscensis. I batteri lattici completano la fermentazione panaria per quegli aspetti che il lievito di birra non riesce ad elaborare. Si ha un abbassamento del pH che si riflette in una maggiore conservabilità, maggiore fragranza, ottenendo così un alimento più facilmente digeribile perché i batteri elaborano i vari componenti della farina.
I batteri proteolitici scindono le proteine in amminoacidi, migliorando l'aspetto nutrizionale dando un prodotto più nutriente, sotto l'aspetto salutistco si ottiene un pane più facile da digerire anche per i celiaci per il ridotto contenuto di glutine.
Alcuni batteri sono amilolitici e riescono a degradare l’amido, facendo si che questo polimero del glucosio risulti in parte già “digerito” al momento del consumo da parte dell’uomo.
Elaborano gli zuccheri semplici, ottenendo acido lattico e CO2, utilizzano questi zuccheri per il loro metabolismo e ne riducono le quantità, dando così un pane con meno glucosio, che viene consigliato per i diabetici.

Con la Fermentazione Naturale abbiamo la presenza di una comunità microbica più complessa con tempi di processo più lunghi (> di 4 ore), la gestione è più articolata e l'aspetto igienico deve essere maggiormente controllato. Il pH subisce un abbassamento che svolge la funzione di barriera a microrganismi indesiderati.

COME NASCE SI FRAMMENTU?
La tradizione vuole che venga custodito, curato e conservato gelosamente, perché prezioso e indispensabile. E nella tradizione sarda questo compito era affidato alle preziose mani della donna.
Ad ogni panificazione ne veniva prelevato un pezzo e riposto in una ciottola al fresco e coperto con teli di cotone, per la volta successiva, qui cresceva e veniva nutrito, in quanto è un vero e proprio sistema biologico.
Ma ogni panificatore ha la sua ricetta segreta…
Si parte da un impasto di acqua e farina al quale si può aggiungere del miele.
Oppure si utilizza dell’acqua dove sono stati immerse uova, prugne secche e altra frutta.
Si possono integrare prodotti a base di segale oppure crusca, per apportare tutto il pool di batteri utili. Un’usanza tipica è quella di aggiungere latte fresco oppure yogurt.

QUALITA' DEL PANE TRADIZIONALE
Il pane ottenuto con la fermentazione tradizionale ha una più lunga conservazione a causa della maggiore acidità dell’impasto, la quale rallenta lo sviluppo delle muffe, l’alveolatura è più fine e regolare, dovuta ad una produzione di anidride carbonica più lenta e graduale per la  maggiore durata del processo fermentativo.
Il sapore e il profumo sono caratteristici, accentuati dalla formazione di sostanze organiche volatili e prodotti aromatici durante la cottura tra gli amminoacidi e gli zuccheri
Viene riscontrata una maggiore digeribilità ed assimilabilità del prodotto a livello digestivo

Vengono salvaguardate tradizioni e tipicità di un prodotto che ci lega alla nostra Terra

mercoledì 2 febbraio 2011

Cacao: fermentazione, gusto e composizione

Considerato come il cibo degli Dei, il cacao è uno dei più grandi piaceri del palato.
Ma osservando la classica barretta di cioccolato non si pensa a come questa abbia avuto origine...

Il cacao è il prodotto ottenuto dai semi  della pianta Theobroma cacao, più precisamente sono contenuti in numero di circa 50 in una capsula chiamata cabossa, avvolti da una mucillagine grassa, il burro di cacao.
I Maya lo commercializzavano già dal 1000 a.C. e gli spagnoli lo hanno introdotto in Europa nel XVI secolo, per divenire poi una lecornia dei salotti aristocratici.

Il cacao dal punto di vista delle Tecnologie Alimentari rientra tra gli alimenti fermentati, in quanto la fermentazione ad opera di microrganismi è indispensabile per arrivare al prodotto finito.
Esistono tre varietà di cacao che variano per la provenienza e le qualità agronomiche. Dopo la raccolta, viene eliminata la struttura rigida della cabossa e i semi (o fave) vengono fatti fermentare per un periodo che può variare da 2 a 12 giorni circa. Questa fase è molto importante per poter separare la parte grassa dai semi.
La fermentazione procede dall'esterno verso l'interno della massa:  sulla superficie, a contatto con l'aria, avremo l'azione di lieviti come i Saccharomyces, Kloekera, Hanseniaspora e di batteri aerobi come gli Acetobacter. Grazie a questi ultimi si ha la formazione di acido acetico che abbassa il pH e agisce da inibitore per microrganismi indesiderati,  la temperatura aumenta fino a 40°C e i semi diventano più scuri.
In una seconda fase la fermentazione diventa anaerobica (assenza di aria) e avremo la presenza di batteri lattici come il Lactobacillus.
Si ottengono i semi separati dal burro di cacao, che verranno fatti essiccare naturalmente al sole, o in essiccatoi appositi. Vengono privati del tegumento che li riveste e possono essere conservati.
Prima di essere trasformati subiscono una tostatura con temperature di 150°C, per ottenere particolari reazioni che portano alla formazione degli aromi tipici. Ora i semi sono pronti per diventare in una pasta densa e fluida.
Il cacao può essere commercializzato sotto varie forme, ma quella più comune è quella in polvere che rappresenta il componente principale del cioccolato.


La sua composizione è varia. E' ricco di polifenoli che sono dei potenti atiossidanti, sostanze eccitanti come la caffeina e la teobromina, ammine e soprattutto non si deve dimenticare l'alto contenuto di grassi. Molto importanti sono anche i sali minerali come ferro e magnesio e vitamine.


Cacao, cioccolato, cannella e peperoncino


Fave di cacao e cioccolato al latte

Ma forse ciò che più ci colpisce è il suo gusto, unito al profumo dolce ed esotico nello stesso momento, che ci delizia nel corpo e nello spirito! 



Semi (o Fave) di cacao con tegumento


martedì 1 febbraio 2011

Riscoprire e seminare il Tarassaco

Il Taraxacum officinale è più comunemente conosciuto come Dente di Leone e mentre si cammina sul marciapiede, non si fa caso a questa piccola piantina che cresce ovunque con i suoi fiorellini gialli che si trasformano nel tipico "soffione" costituito da tanti filetti lanuginosi che portano ognuno un seme.
Nonostante le poche attenzioni con la quale viene trattata questa pianta, già dall'antichità era conosciuta ed utilizzata come pianta medicinale.
Al contrario di come si crede, tutta la pianta è curativa e non ha veleni, solo il lattice presente negli steli potrebbe causare allergie, ma le parti vegetali da utilizzare sono le foglie tenere e le radici. 
Vi propongo delle idee per riscoprire i benefici e i sapori del Tarassaco.

COLTIVARLO O RACCOGLIERLO?
Si può avere il Tarassaco in due modi: andare nei prati o campagne (esenti da scorie, concimi, pesticidi e sostanze chimiche), oppure coltivarlo nel proprio orto, giardino o balcone.
Nel caso si opti per la raccolta in aperta campagna, questa operazione si deve eseguire in luoghi puliti, lontani dal ciglio stradale e in ambienti non contaminati. Le foglie vanno raccolte prima che i fiori sboccino, si prelevano le più tenere e una volta lavate, si consumano fresche o sbollentate. Le radici si raccolgono in primavera, oppure in autunno, vanno essicate e si possono utilizzare per fare decotti. Si deve rispettare sempre il tempo balsamico della specie e la raccolta deve essere fatta senza danneggiare la natura!!!

In alternativa lo si può coltivare.
Sembra banale, ma oltre ad essere piacevole farlo, ci assicuriamo un "raccolto biologico" e sempre pronto all'uso.
I semi si repiriscono in negozi di giardinaggio attrezzati, non sono molto comuni, ma anche il fioraio sotto casa può procurarveli.
Occorrono vasi con diametro superiore ai 10 cm da riempire con una miscela di terriccio e sabbia e con un fondo di pietruzze. Si mettono 2 o 3 semi per vaso e li si ricopre con un pizzico di terra; il tutto va tenuto umido. Oppure si può seminare in campo, in terreni ben drenati, appena cessano le gelate. Non è una pianta esigente. Dopo circa 10 giorni cominciano a spuntare le minuscole foglie cotiledonali.
Nei nostri climi sardi lo si può seminare a partire da febbraio sino a maggio-giugno a seconda della stagione, la raccolta si effettua da aprile in poi.
Una volta cresciuto, possiamo cogliere le foglie e mangiarle come insalata, crude o cotte, quest'uso è nato in Francia dove viene accostato ad ingredienti speciali per comporre ottimi piatti. Ma anche in Sardegna è da sempre conosciuto come comestibile. L'insalata fresca di Tarassaco aiuta l'organismo con la produzione di succhi biliari, agisce sul fegato e svolge un'azione depurativa, apporta numerose vitamine e sali minerali. 
Successivamente anche la radici possono essere raccolte, essiccate e utilizzate in decotti che aiutano a depurare l'organismo e ad eliminare liquidi in eccesso.

Una pianta officinale utile, da coltivare, valorizzare e gustare!

Breve storia dell'Olivicoltura

Dalla coltivazione dell’olivo si ricava una drupa che, sottoposta a spremitura e separazione dalle acque di vegetazione e dalle sanse,  produce l’olio unico grasso alimentare derivato da un frutto. Da ciò si comprende quanto la qualità della pianta e conseguentemente della drupa influenzino le caratteristiche del prodotto finito

Nelle aree geografiche del nostro pianeta a clima temperato-caldo, si può riscontrare una vegetazione simile: piante che appartengono al genere Olea sono molto comuni in queste zone e tra queste, la specie più importante è l’Olea europea, altamente diffusa nel bacino Mediterraneo e non solo. Tale specie nel corso dei secoli ha rivestito un’importanza vitale per l’uomo.
I primi documenti scritti sulla coltivazione dell’olivo, sono delle tavolette con scrittura cuneiforme della metà del III millennio, rinvenute a Ebla, centro della civiltà protosiriana nel nord della Siria, zona nella quale erano presenti ampie distese di tipo forestale di questa specie, dove si ritiene abbia avuto origine la varietà domestica. Ma i reperti di noccioli ritrovati negli insediamenti umani, testimoniano la presenza di un antenato dell’olivo già dal paleolitico.
L’olivo domestico si sarebbe diffuso dal Medio Oriente in tutte le parti del mondo nelle quali il clima ha permesso la sua coltivazione.
In Sardegna la forma selvatica è antichissima, infatti sono presenti olivastri che risalgono al periodo nuragico, dai quali si estraeva l’olio dai frutti con attrezzature e in ambienti appositi, come ritrovato nella reggia nuragica di Barumini e non solo. Mentre la diffusione della forma domestica è avvenuta ad opera di popolazioni di origine minoica.
Da qui in poi si è assistito ad un’alternanza di periodi di valorizzazione e di abbandono di questa coltivazione, strettamente legati alle vicissitudini storiche.
Nel periodo romano  assistiamo allo sviluppo di importanti aree olivetate soprattutto nella parte centromeridionale dell’isola, infatti compaiono i primi torchi per l’estrazione dell’olio. Con la caduta dell’Impero Romano, si arresta lo sviluppo dell’olivicoltura fino al periodo dell’influenza pisana dalla quale provengono numerosi documenti.
Successivamente abbiamo un altro periodo di stasi fino alla prima metà del XVII secolo, con la diffusione della legislazione spagnola che definisce gli areali della coltivazione dell’olivo, ancora oggi presenti. In questo periodo si diffondono nuove varietà, nuovi molini per l’estrazione dell’olio e leggi per la protezione degli oliveti.
Con il governo piemontese avviene un miglioramento della tecnica di coltivazione e di produzione.
Nei primi decenni del 1800 nell’isola compaiono i primi impianti per l’estrazione industriale dell’olio dalle sanse, per arrivare poi a miglioramenti tecnologici nel secondo dopoguerra, accentuati dopo gli anni ’60 e ’70, con maggiori attenzioni a tutto il processo produttivo, soprattutto agli aspetti qualitativi e quantitativi, per ottenere un prodotto sempre più pregiato.
L’olio non ha conosciuto solo un’importanza dal punto di vista alimentare, ma i suoi usi sono stati molteplici e tutt’oggi è presente in molti aspetti della vita dell’uomo.